Cambiamento Climatico
Diverse cause del cambiamento climatico
Il clima della Terra si è costantemente evoluto a diverse velocità sin dall’inizio; eppure, queste fluttuazioni sono state molto lente rispetto a quanto sta avvenendo in questo momento. È quindi importante tenere in considerazione la velocità di tale variazione, il cosiddetto “standard temporale” dei mutamenti, al fine di comprendere i vari contributi delle attività naturali e antropogeniche ai mutamenti climatici oggi in atto.
La temperatura media è regolata dall’equilibrio tra l’energia in entrata e quella in uscita, che determina l’equilibrio energetico terrestre (vedi Unità 5.1). In quanto tale, qualsivoglia fattore causa un mutamento nella quantità di energia in entrata e in uscita; se tale mutamento si protrae nel tempo (per decenni o secoli), puà provocare il cambiamento climatico. Alcuni di questi fattori possono essere di origine naturale o “interni” al sistema climatico, quali, ad esempio, i mutamenti nell’attività dei vulcani, nell’irraggiamento solare o nell’orbita della Terra intorno al Sole. Altre cause sono invece “esterne” e prendono il nome di “climate forcer” (il termine si potrebbe tradurre come “stimolatori del cambiamento climatico”), termine che descrive molto bene come questi fattori “forzino” o “obblighino” il clima ad assumere uno stato completamente diverso nel lungo termine.
Diversi fattori agiscono su scale temporali diverse e non tutti i fattori che in passato hanno contribuito ai mutamenti del clima terrestre sono coinvolti nei processi di cambiamento climatico attuali.
I due fattori naturali che contribuiscono al processo di cambiamento climatico odierno sono i mutamenti dell’attività vulcanica e leradiazioni solari. Questi fattori influiscono soprattutto sulla quantità di energia in entrata. Le grandi eruzioni vulcaniche che emettono enormi quantità di polvere e solfiti raffreddano l’atmosfera; tuttavia, si tratta di fenomeni episodici e con effetti sul clima relativamente a breve termine (da pochi mesi a pochi anni). I mutamenti avvenuti nell’irraggiamento solare negli ultimi secoli hanno contribuito sicuramente alle dinamiche climatiche, ma dalla rivoluzione industriale in poi gli effetti dell’incremento dei gas serra presenti nell’atmosfera hanno avuto effetti circa 10 volte superiori, in termini di “ climate forcing”, rispetto alle variazioni delll’irraggiamento solare.
Anche le variazioni delle correnti oceaniche o della circolazione atmosferica (ad esempio il fenomeno El Niño – vedi Unità5.1) possono influire sul clima per brevi periodi di tempo. Poiché influisce sulle attività umane facendo sì che alcuni anni siano più caldi di altri, il verificarsi di siccità o, al contrario, di precipitazioni più intense, anche la variabilità climatica interna naturale è importante. Tuttavia, essa non contribuisce alle dinamiche a lungo termine determinate invece dalla gran quantità di climate forcers di origine antropogenica, in particolare dall’eccesso gas serra nell’atmosfera.
Gli scienziati ritengono che i soli mutamenti naturali non siano sufficienti a speigare i mutamenti della temperatura avvenuti negli ultimi 50 anni. Quando, con l’aiuto di modelli computerizzati, gli studiosi riproducono i diversi climate forcers (sia naturali sia antropogenici) e verificano che tali modelli riproducano effettivamente i mutamenti della temperatura osservati nel recente passato si verifica un fenomeno significativo. Infatti, quando i modelli includono solo i motori naturali del cambiamento climatico (quali le variazioni dell’intensità dei raggi solari e le eruzioni vulcaniche), i risultati non sono coerenti con il riscaldamento verificatosi nell’ultimo mezzo secolo. Quando i motori del cambiamento climatico di origine antropogenica (gas serra) sono invece inclusi nei modelli, i risultati riflettono perfettamente il recente aumento della temperatura atmosferica e negli oceani.
Quando i motori del cambiamento climatico, naturali e antropogenici, vengono messi a confronto, l’accumulo di carbonio provocato dagli esseri umani risulta essere di gran lunga il proncipale motore di cambiamento climatico nell’ultimo mezzo secolo.
Stefano Caserini – Istituto Oikos
Siamo davvero responsabili dell’aumento di CO2?
Viviamo tutti sullo stesso pianeta e uno degli aspetti maggiormente condivisi della nostra condizione è costituito dalle emissioni climalteranti, quelle che stanno trascinando la vita di tutti verso il disastro. I gas climalteranti si diffondono molto rapidamente, su tutta l’atmosfera terrestre.
Pertanto, il cambiamento climatico avrà gravi conseguenze su alcune regioni del Pianeta, senza che ci sia una relazione diretta con le aree in cui le emissioni sono state prodotte nel tempo e nello spazio. Come possiamo misurare le responsabilità di ciascun Paese per le emissioni di gas climalteranti e il conseguente cambiamento climatico?
Non si tratta di attribuire delle colpe (fino a cinquant’anni fa pochi sapevano o pensavano che questa sarebbe diventata la principale minaccia per la vita umana sulla terra), ma nelle negoziazioni internazionali sul cambiamento climatico la responsabilità di ogni Paese dovrebbe essere presa in considerazione. L’obiettivo reale dovrebbe essere identificare, nella maniera più equa possibile, le misure che ogni abitante del Pianeta, ogni area, ogni singolo governo, dovrebbe adottare per mitigare e invertire il trend delle emissioni.
Per fare questo ci sono tre criteri fondamentali.
Il primo misura le emissioni pro capite di ogni paese (see also the unfccc.int website ).
Nel tempo questi numeri dovranno tendere ad allinearsi: ovviamente verso il basso, per fermare le emissioni (http://en.wikipedia.org/wiki/Contraction_and_Convergence) prima che raggiungano la soglia oltre la quale il riscaldamento globale rischia di diventare irreversibile. Ma come vanno misurate le emissioni di ogni paese rispetto al ciclo di vita dei prodotti? Molte emissioni sono dovute alla produzione di beni che vengono poi consumati in altre parti del mondo. Quelle emissioni vanno attribuite al paese che li produce o al paese che li consuma?
l secondo criterio è di carattere storico: l’industrializzazione, fonte di gran parte delle emissioni climalteranti è cominciata in tempi diversi nei vari paesi (e in molti non ha ancora avuto inizio). Per questo, ai fini della convergenza, il contributo di ogni paese alla CO2che si è andata accumulando nell’atmosfera nel corso degli ultimi due secoli (ovviamente con delle stime necessariamente molto grossolane) deve tenere conto anche di questo elemento – chiamato responsabilità storica. Infine, alcuni paesi hanno ormai in gran parte oltrepassato la fase più intensa dello sviluppo industriale (e la delocalizzazione -offshoring- di molte produzioni inquinanti ne è una manifestazione), mentre altre economie, per imboccare la strada dello sviluppo, devono puntare ancora su attività manifatturiere fonti di molte emissioni climalteranti: soprattutto se non possono beneficiare di tecnologie e know how, spesso monopolio di paesi più avanzati.
Quindi è necessario che nella ripartizione delle emissioni climalteranti totali che il nostro pianeta si può ancora permettere prima di superare la soglia dell’irreversibilità, venga concesso alle economie di più recente industrializzazione, o “in ritardo di sviluppo”, uno spazio adeguato. La convergenza su cui si dovrà definire una road map condivisa di misure contro il cambiamento climatico al prossimo summit di Parigi dovrà tener conto di questi tre fattori.
Guido Viale – Cies Onlus
Gli effetti a lungo, medio e breve termine del cambiamento climatico
Negli ultimi decenni, il cambiamento climatico ha causato diversi effetti sui sistemi naturali e umani in tutti i continenti: via via che il riscaldamento globale aumenta, nei prossimi anni si attendono altri impatti a breve termine.
Molte specie marine o che vivono sulla terra ferma e nei bacini di acqua dolce hanno cambiato le aree geografiche in cui vivevano e gli itinerari di migrazione in risposta al cambiamento climatico. La velocità del cambiamento climatico attuale è maggiore rispetto al passato, rendendo l’adattamento più difficile per le specie: per questa ragione, ci si attende che il riscaldamento globale costituirà un fattore chiave dell’incremento della velocità con cui le specie viventi si estinguono. In molte regioni del pianeta, i mutamenti nelle precipitazioni piovose e nevose e nella consistenza di ghiacciai alpini stanno provocando profondi mutamenti nei sistemi idrologici, con un forte impatto sulla qualità e quantità delle risorse idriche. I ghiacciai si sono ritirati in quasi tutto il pianeta, mentre la riduzione estiva dei ghiacci nel Mar Glaciale Artico sta aumentando.
Per le società umane, l’impatto del cambiamento climatico in genere provoca il peggioramento di situazioni già critiche (povertà, scarsità di cibo, cattiva gestione del suolo, migrazioni dovute alle guerre, etc.), colpendo soprattutto i più vulnerabili. Nello specifico, gli eventi estremi quali le ondate di calore, le siccità e le tempeste hanno già esercitato un impatto diretto sulle condizioni di vita a causa di inondazioni, incendi nei boschi, diminuzione dei ricavi in ambito agricolo e distruzione di case e infrastrutture. Inoltre, le conseguenze indirette includono l’aumento del prezzo del cibo e la migrazione. L’incremento del riscaldamento globale aumenta la possibilità che si verifichino effetti gravi, diffusi e irreversibili. Visto l’aumento delle temperature globali (in media 1°C in più rispetto ai livelli pre-industriali), ormai riconosciuto, il palesarsi di altre conseguenze è ormai inevitabile. Si prevede che le temperature aumenteranno ancora di un grado nel medio termine, più o meno nei prossimi decenni. Se non mettiamo in atto serie misure di riduzione dei gas serra, la temperatura media globale potrebbe aumentare di 4°C o più, causando impatti gravi e diffusi sugli ecosistemi più fragili, una sostanziale riduzione della biodiversità e gravi minacce alla sicurezza alimentare globale in molte regioni densamente popolate. L’effetto congiunto delle alte temperature e dell’alto tasso di umidità in molte regioni può rendere difficile lo svolgimento di molte delle normali attività umane come, ad esempio, il lavoro all’aperto, specialmente nelle stagioni più calde.
Il futuro impatto del cambiamento climatico varia molto a seconda della regione; gli effetti del cambiamento non saranno distribuiti equamente o uniformemente a causa di diversi fattori. Basti pensare, ad esempio, alle aree costiere e alle piccole isole del Pacifico, che saranno duramente colpite dall’aumento del livello del mare. Tuttavia, non è solo una questione di geografia: i Paesi più ricchi saranno meno vulnerabili e meglio equipaggiati per trarre vantaggio da possibili benefici, perché queste aree sono, solitamente, meno densamente abitate e hanno a disposizione più risorse da investire nella prevenzione e nell’adattamento. Al contrario, i Paesi più poveri saranno colpiti più duramente, poiché sono maggiormente dipendenti dalla produzione agricola locale e, quindi, sono più vulnerabili rispetto agli effetti dei mutamenti delle temperature e dei cicli dell’acqua.
Stefano Caserini – Istituto Oikos
Le scelte individuali quotidiane per la mitigazione
Il termine “mitigazione del cambiamento climatico” si riferisce alle misure finalizzate a ridurre le emissioni di CO2 e altri gas serra e a incrementare l’assorbimento di CO2 da parte delle foreste. Agire per migliorare le condizioni del nostro pianeta e aiutare le comunità colpite non è una responsabilità di chi agisce a livello politico, economico e amministrativo; i nostri stili di vita quotidiana sono altrettanto importanti.
Anna Brusarosco – CeVi
Uno strumento utile per comprendere gli impatti delle nostre abitudini sull’ambiente è l’ Ecological Footprint (Impronta Ecologica), un indice utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità del pianeta di ripristinarle. Rappresenta l’area produttiva necessaria a fornire le risorse rinnovabili che l’umanità sta utilizzando e per assorbirne i rifiuti.
Sono stati inoltre sviluppati due altri indici simili: la Water Footprint (Impronta Idrica), una misura della quantità d’acqua dolce di cui si appropria l’umanità in volume d’acqua consumata e/o inquinata e il Carbon Footprint (Impronta di Carbonio), vale a dire la quantità di gas serra emessi – direttamente o meno – per consentire lo svolgimento delle attività umane.
Misurando questi indici per una determinata popolazione (un individuo, una città, un’azienda, una nazione o l’intera umanità) è possibile valutare la pressione che esercitiamo sul pianeta e, di conseguenza, gestire più saggiamente i beni ecologici e intraprendere azioni sia collettive sia personali per creare un mondo in cui gli esseri umani non oltrepassino i limiti imposti dal pianeta. Analogamente, operare un confronto tra i “nostri” valori misurati con gli indici di cui sopra e quelli del Sud Globale ci aiuterà a comprendere meglio le disparità esistenti e le nostre responsabilità, in quanto cittadini del Nord Globale, verso le comunità che subiscono le conseguenze del nostro modello di sviluppo pur esercitando una pressione minore sugli ecosistemi.
Dobbiamo lanciare il messaggio che il cambiamento è possibile e per fare questo dobbiamo agire a livello locale, a partire dalle nostre scelte quotidiane, per mitigare il cambiamento climatico. In seguito trovate un elenco di alcune buone pratiche quotidiane utili a ridurre i nostri impatti sul cambiamento climatico.